Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
Sezione I
Sentenza 17 marzo 2023, n. 253

Presidente: Prosperi - Estensore: Risso

Con il gravame indicato in epigrafe il ricorrente ha impugnato il decreto del Prefetto di Torino che aveva rigettato la richiesta di concessione della cittadinanza italiana per matrimonio, ai sensi dell'art. 5 della l. 5 febbraio 1992, n. 91.

Avverso il suddetto provvedimento il ricorrente deduce l'illegittimità per eccesso di potere per difetto di istruttoria e erronea valutazione dei presupposti.

Con atto depositato in data 3 marzo 2023 si è costituito in giudizio l'Ufficio territoriale del Governo di Torino.

All'udienza camerale è stato sollevato un possibile profilo di difetto di giurisdizione e la causa è stata trattenuta per essere definita con sentenza in forma semplificata, sussistendone i presupposti di legge e previo avviso messo a verbale.

Il Collegio osserva preliminarmente che dal provvedimento impugnato si evince che il ricorrente ha presentato un'istanza volta ad ottenere la cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 5 della l. 5 febbraio 1992, n. 91 e che l'impugnato diniego è stato adottato ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. b), della l. 5 febbraio 1992, n. 91.

L'art. 5 della l. 5 febbraio 1992, n. 91, recante "Nuove norme sulla cittadinanza", così come modificato dalla l. 15 luglio 2009, n. 94, dispone testualmente che "Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all'estero, qualora, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non sia intervenuto lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi", mentre il successivo art. 6, per quanto qui interessa, recita "Precludono l'acquisto della cittadinanza ai sensi dell'articolo 5: ... b) la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione...".

Ciò premesso, il Collegio osserva che la controversia in esame esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la situazione giuridica fatta valere in giudizio ha l'indubbia consistenza di diritto soggettivo.

La giurisprudenza amministrativa, interpretando tale normativa, ha costantemente avuto modo di chiarire che in ordine alla concessione della cittadinanza per matrimonio, disciplinata dal sopra richiamato art. 5, la situazione giuridica soggettiva della parte richiedente ha la consistenza del diritto soggettivo (sul punto, T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 17 gennaio 2020, n. 42; T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, 6 maggio 2016, n. 605; T.A.R. Pescara, Sez. I, 26 maggio 2014, n. 241; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 11 febbraio 2013, n. 99; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 7 dicembre 2011, n. 9629; T.A.R. Venezia, Sez. III, 3 novembre 2010, n. 5906; T.A.R. Milano, Sez. III, 19 ottobre 2010, n. 6999; T.A.R. Torino, Sez. II, 28 maggio 2010, n. 2715; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 19 marzo 2015, n. 446 e, più di recente, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 10 settembre 2019, n. 10802).

Secondo la giurisprudenza amministrativa, nella materia in questione, l'unica causa preclusiva alla concessione della cittadinanza che risulta essere demandata alla valutazione discrezionale della competente Amministrazione è quella di cui all'art. 6, comma 1, lett. c), della l. n. 91 del 1992, ossia la sussistenza di "comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica".

Soltanto in tale evenienza - che non ricorre nel caso di specie - la giurisdizione si radica in capo al giudice amministrativo.

Le altre cause preclusive alla concessione della cittadinanza - ivi compresa quella oggetto della controversia, e cioè la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge prevede una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione [art. 6, comma 1, lett. b), della l. n. 91 del 1992] - non richiedendo alcuna valutazione discrezionale da parte dell'Amministrazione, determinano il mantenimento della giurisdizione in capo al giudice ordinario (sul punto, T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 17 gennaio 2020, n. 42; T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, 6 maggio 2016, n. 605; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 19 marzo 2015, n. 446 e, più di recente, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I-ter, 4 gennaio 2019, n. 123).

Alla luce di tali considerazioni, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a favore del giudice ordinario, dinanzi al quale il giudizio potrà essere riproposto nel rispetto del termine di cui all'art. 11 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Considerate le questioni interpretative inerenti la norma di che trattasi, sussistono giuste ragioni per disporre la totale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

- dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;

- indica come giudice competente a decidere il giudice ordinario, dinanzi al quale il giudizio potrà essere riproposto ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. n. 104 del 2010;

- compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.